E’ una droga. La strada è una piacevole droga, e mi alzo in preda all’astinenza da asfalto e paesaggi. Un pò la voglia di muovermi, un pò i cieli che in questi posti sembrano finti per quanto azzurri, sarà perchè fermarmi due giorni nello stesso posto è un’ abitudine che non voglio avere, ma questa mattina mi sveglio con mille energie e voglia di strada. Quando ho comprato il primo biglietto aereo per gli States, una vita fà, un amico mi guardò sorridendo e mi disse “una volta che inizi a vivere vacanze on the road non ne farai più a meno“… nemmeno avesse letto nella palla di vetro che quello sarebbe stato l’inizio del mio nuovo ossigeno.
Riaccompagno Jenny a casa solo dopo aver fatto colazione, mi faccio guidare ad un ristorante tranquillo poco lontano con una voglia di oatmeal e di leggere un giornale di annunci, i fiocchi d’avena sono un altro piatto della tradizione, latte bollente che fuma in una tazzona enorme, uvetta passa e zucchero di canna che rende tutto dolce. Mi ustiono al primo cucchiaio dopo di che perdo completamente il senso del gusto ma non importa, è così conviviale la colazione lenta e calda come quella di questa mattina, fuori montagne rocciose, dentro al caffè lei, l’America e il profumo di breakfast.
Pieno di benzina fatto a 3.29 dollari al gallone, come sempre mentalmente ripasso la matematica delle elementari solo per capire che nonostante tutto qui un litro di benzina costa 60 centesimi di euro, e che anche guidare un suv a sei cilindri diventa poco costoso. Non voglio arrabbiarmi e cominciare già a pensare al mio volo di rientro, ho ancora un bel pò di miglia da percorrere e molti altri posti da segnare con il pennarello sulla mappa appesa in camera. Rientro sulla I25 in direzione nord, non sono nemmeno molto lontano da Denver e per questo che lascio il cruise control ad una velocità rilassante, accendo la radio e mi godo una musica country in tutta la pace di un paesaggio montuoso, sono nel cuore delle Montagne Rocciose che si alzano alla mia destra e che raggiungono altezze ben oltre i 4000 metri e che avvolgono quest’area proteggendola dal clima umido della costa pacifica, perciò inverni lunghissimi e gelidi si alternano a aridi estati, comincia a nevicare a ottobre e finisce ad aprile, il parco nazionale infatti non apre se non dopo la prima metà di maggio.
Denver appare all’orizzonte, cominciano a vedersi costruzioni tutte uguali di un area residenziale con le sue belle casette da film tutte con il loro bel giardinetto curato e le viottole tutte a curve che si intersecano creando un mosaico, sembra un disegno geometrico, e le casette tutte uguali sembrano stampate, un pò monotone, persino per la pulizia eccessiva! ma nemmeno 2 foglie per terra? o che ne so un cassonetto dei rifiuti rovesciato? un auto arrugginita in doppia fila? nemmeno 2 cani randagi? tutto al limite del monotono. Supero un’auto della polizia parcheggiata ad un incrocio, e pure il poliziotto sembra uscito da un film, con i suoi bei baffi, la divisa blu aderente sulla pancia prominente e un scatola di ciambelle in bella mostra sul cruscotto, e ovviamente mi sorride e mi saluta, del resto sulla fiancata c’è scritto “per servire e proteggere”.
Parcheggio fuori da un Motel a poche miglia dal centro di Denver e scendo a cercare una stanza. Il cartello Vacancy è già un buon segnale, poi se si considera che il periodo è di bassissima stagione entro fiducioso. Ovviamente profumo di curry anche a quest’ora! Moltissimi motel sono gestiti da indiani, mi sono sempre chiesto il motivo per la loro predilezione per questa attività, orari infernali, chiamate ad ogni ora, reception sempre aperta, pulizie costanti, risiedere nel motel…beh in effetti credo che ci siano poche persone disposte a farlo! Quindi spesso capita di entrare in un motel per contrattare il prezzo e trovarsi immersi da una nuvole di curry, musica di sitar diffusa, e marmocchi che giocano con il domino. Disponibili e soprattutto facile il mercanteggiare, infatti strappo una camera con cucinino e frigo (ovviamente rumorosissimo) per 30 dollari, magnifica vista sul parcheggio per camion di fronte al cavalcavia!
Denver è esattamente come me l’aspettavo, descritta da un amico come la città fatta a misura d’uomo, sarà che trovo parcheggio in pieno centro e sarà per il caldo di questa assolata giornata ma sono felice. Inforco i miei occhiali da sole, e cerco la 16th street, è lo struscio di questa città, una via lunghissima pedonale fatta di negozi locali all’aperto e di mille persone in giro, tra qualche turista in bermuda, molti uomini d’affari in completi grigi e improbabili cravatte multicolori, ragazzini e ragazzine che invece sono uguali in tutto il mondo!
Mi fermo a guardare curioso tavoli da gioco per gli scacchi sotto delle piante ombreggianti, ci sono molte coppie di giocatori che muovono le loro pedine su questi tavoli in pietra con disegnata sul piano una scacchiera bianca e nera, qualche gruppetto affolla anche la partita più viva, ma io vengo subito rapito da un altro cartello “pianoforte pubblico”, il comune di Denver a messo a disposizione alcuni pianoforti (veri!) per chiunque volesse suonare, tutti rigorosamente dipinti da artisti locali ma tutti perfettamente funzionanti, ed io ovviamente ne provo uno suonando la colonna sonora della pubblicità Barilla…tatatan, tarattatan…ok mi fermo, meglio per tutti.
Investo 2 dollari per un wurstel con crauti e senape comprato da un ambulante alla fine della street dove si apre un giardino collinare che finisce sulle scale del campidoglio, sede dello stato del Colorado,mi siedo sull’erba mi mangio il mio pasto e mi lascio rapire da tutte le persone che mi stanno intorno e che come me sembrano uscite dal letargo di un lungo inverno ed increduli si godono questo solo.
Tra un negozio e l’altro, una traversa e un bar scorgo un’insegna roteante bianca e rossa “Barber shop“, lo raggiungo curioso di diventare un suo cliente, scendo in un sotterraneo, entro e trovo subito un signore di colore ben distinto intento a lucidare le scarpe di un signorotto seduto su un trespolo in legno, e mi sento catapultato in un film d’altri tempi, il barbiere mi accoglie mentre il garzone, un brillante ottantenne pulisce lentamente il pavimento cosparso di capelli grigi, “vorrei farmi la barba” spiccico a fatica guardandomi in giro, mi mette comodo sulla poltrona cromata e inizia un lento rito di movimenti sapienti di mani e lama tra salviette calde e pozioni magiche, i quadri e i drappelli militari e gli onori ai marines che tappezzano ogni angolo delle pareti e la musica di un mambo anni 30 sono solo l’ambientazione perfetta, e dopo 20 minuti di un instancabile lavoro, lo specchio davanti al mio viso e le sue parole “the new you“. Quando esco lasciandoli 5 dollari di mancia mi sento l’uomo più felice del mondo, e nemmeno mi preoccupo della multa sul mio parabrezza e del sole tramontato che fà calare la temperatura, oggi ho vissuto un altro sogno.