In effetti credo di essermelo chiesto decine di volte, e ad ogni cartello stradale che indica una minuscola cittadina, la domanda mi riecheggia nella mente “ma perché diavolo una persona dovrebbe vivere qui?”.
La strada 2 del Nebraska era contrassegnata dal solito colore giallo della mappa, dovrebbe sottolineare come questa strada sia da considerarsi panoramica, qui le chiamano “Scenic Route” e per loro dovrebbero essere imperdibili…Sarà ma io dopo più di 200 miglia non ho ancora capito cosa dovrebbe essere imperdibile. Colline bruciate dal sole, che qui d’estate consuma davvero ogni metro, che si alternano a recinti di bestiame che credo stia implorando almeno un po’ di pioggia.
Cartello della prossima cittadina: non posso che accostare. Gross Population 3, padre madre e un figlio unico? Una coppia aperta con un amante per casa? 3 single alla disperata ricerca di una compagna? Ma perché dovrebbe esistere una città come questa? Ma soprattutto a 200 miglia dal più vicino negozio di alimentari come si fa a campare? Proseguo pochi metri e le carcasse delle auto sono addormentate ai lati di un fienile che rimane in piedi grazie alla ruggine delle viti con cui hanno costruito le pareti in legno.
Mentre continuo a percorrere questa inutile strada mi segno tra le cose da non dimenticare mai: non ti fidare delle cartine e dei loro consigli di viaggio, se passano il tempo a disegnare mappe, a colorarle e a occuparsi di marketing e distribuzione avranno di certo poco tempo per viaggiare!
Le miglia proseguono e la noia delle colline diventa insostenibile, se non fosse per il treno che porta carbone e che mi accompagna da almeno mezz’ora credo che avrei potuto anche dormire alla guida. Poi ricordo il motivo di questa deviazione di quattrocento miglia quando mi appare la freccia che indica un’altra di quelle cose che spiega molto del complesso mondo americano, carhedge… io stento a crederlo pure quando mi si presenta davanti. Una perfetta ricostruzione del celeberrimo sito neolotico inglese, ma qui fatto con le carcasse di autovetture accatastate e rigorosamente made in usa!
La mezz’ora che passo a girare per questo luogo mi lascia il tempo per riflettere sulla capacità americana di rendere il niente unico. Lo fanno da sempre con le immagini che noi divoriamo in ogni angolo delle nostre città, lo fanno con la moda, con il cibo, con i successi che esportano in ogni parte del mondo, ma se poi ti fermi un secondo ti accorgi che davvero qui il monumento più antico è una tenda indiana di 150 anni fa e che la loro mancanza di storia li porta a creare “monumenti” come questo, l’elogio al niente. Poi risalgo in macchina, riafferrò la mia tazza riscaldata con la presa dell’accendisigari, rido e capisco che loro vivono per il presente.
La luce del pomeriggio comincia a colorare di rosso le poche nuvole che si disegnano su questi infiniti cieli, il caffè ormai finito non è bastato a far zittire il mio stomaco che brontola, il South Dakota è terra di caccia, allevamenti e di cowboy e i decine di pickup infangati parcheggiati fuori da una steakhouse è sicuramente il miglior segnale ed io già pregusto di addentare una bistecca come solo qui potrei trovare.
La fila è lunga, la fame molta, ma le facce che ho intorno sembrano uscite da una puntata di Hazzard, camicia di flanella, cappelli da cowboy ovunque, fibbie enormi con raffiguranti cavalli e pistole, stivali appuntiti e quel profumo di tabacco e birra che rende l’atmosfera impagabile. Sarà perché indosso un paio di shorts, scarpe da ginnastica e una maglietta in stile Disney, ma ho tutti gli sguardi addosso…fingo una tranquillità unica, chiedo un tavolo, pronuncio qualche parola con un improbabile accento locale, ordino pure una birra e mi siedo anche sullo sgabello del bancone sperando di mimetizzarmi, invano. “Hi guy” la pacca sulla mia spalla tarda poco ad arrivare, l’ospitalità qui sembra uscita dalla definizione che ne dà il vocabolario, un omone di mezza età con il volto scavato dal vento e dal sole mi fissa curioso e mi chiede da dove diavolo arrivassi, e pensare che ho fatto di tutto per mimetizzarmi!
Due risate quando gli spiego che sono italiano, e che sono on the road per vivere un po’ di west, tutto orgoglioso mi presenta un paio di amici, mi ordina una birra e mi racconta che anche lui per il suo anniversario di matrimonio fosse andato in messico… io lo guardo molto convinto, ma in realtà non credo bene sappia dov’è l’Italia! Il mio tavolo è pronto, lui mi lussa l’altra spalla con una pacca e mi siedo al tavolo.
Il tramonto fuori dai vetri è unico, il fiume che scorre a pochi metri dal ristorante disegna curve e schiuma, io ordino con pace del mio stomaco una bistecca infinita, ovviamente “Rare” al sangue, con la sua bella “baked potato” patata intera esplosa nel suo cartoccio, la carne grigliata scompare in pochi secondi, la patata mi ustiona la bocca ma ci mette poco anche lei a scomparire. Il pavimento della steakhouse è di legno grezzo ricoperto da uno strato di segatura, lazzi e cappelli appesi alle pareti, un ristorante con una sua storia nato dopo la crisi dell’allevamento degli anni 80 da un allevatore famose per le sue grigliate domenicali e che gli amici hanno convinto ad aprire, ora è il centro del mondo da queste parti, simbolo di rinascita, di amicizia e di successo del vecchio west.
Poco distante un insegna Vacancy di un motel, non contratto nemmeno il prezzo della stanza, un po’ per la stanchezza un po’ per l’ustione provocata dalla baked potato!
Crollo con la tv accesa mentre passano le immagini del campionato professionistico di rodeo. E anche questa è america.
di Manuel