Nelle ultime 10 miglia prima di arrivare al portale di ingresso delle montagne rocciose avrò incrociato almeno 50 temerari che si avventurano sulle ripide salite che si inerpicano su queste imponenti montagne, penso alla fatica, alla lunghezza di questi tratti, ai tornanti e al freschetto che a queste quote si sente eccome, poi abbasso il finestrino giusto per sentire l’aria anche io per poi richiuderlo, controllare che la temperatura del riscaldamento sia impostata ai miei 22 gradi sorrido e mi sento terribilmente vecchio e pigro.
Come ogni parco che si rispetti il ranger all’ingresso dopo avermi chiesto di pagare il biglietto di ingresso (20$) mi informa che posso campeggiare liberamente per i prossimi 7 giorni, ma se decido di farlo lontano dalle aree di camping prefissate devo avvertire il ranger e fornire il percorso preciso dei miei spostamenti, troppo vasto il territorio per consentire soccorsi. Sorride e mi consegna anche un mappa, secondo me pure lui ha pensato a quanto io sia vecchio e quanto possa essere pigro!
Invece, contro ogni vostra previsione, ho ben in mente l’hike che voglio fare, un percorso piuttosto difficile e non troppo lungo, non voglio campeggiare, ma che ho visto su un sito di appassionati e che mi consigliavano tutti, per ora guido e non ho intenzione di abbassare il riscaldamento! La strada dopo pochi chalet di legno che si trovano all’ingresso est prende una forma serpeggiante seguendo il profilo delle montagne e perdendosi tra massi che sembrano appoggiati per caso e pronti per tornare a ruzzolare e tornanti che fanno sentire la salita. Incrocio un altro ciclista, avrà l’età di mio padre e pedala in scioltezza ad un ritmo sostenuto senza nemmeno badare al motore del mio suv che deve pure scalare una marcia per fare la rampata! io gli farei l’antidoping!!
Il parco rimane aperto tutto l’anno, ma come al solito la mia scelta di tempo è perfetta e la strada che sognavo di percorrere è sbarrata, del resto la neve che mi segue fianco a fianco da un pò di tempo avrebbe dovuto quantomeno farmici pensare, e se poi leggessi i cartelli non sarei qui a fare la foto alla sbarra abbassata con la scritta “road close”! Avevo praticamente letto di tutto sulla Trail Ridge Road, è la strada più alta del continente americano, sovrasta la catena delle montagne rocciose a 3800 metri, e avrei voluto percorrerla almeno in parte per dire di esserci stato, ovviamente con i miei 22 gradi precisi e guardando il ghiaccio dai finestrini! Mi toccherà ritornare, penso tra me e me, mentre faccio inversione a U, alla fine non sarebbe nemmeno un problema, del resto per arrivare fino a qui ho fatto solo 4000 km… e la frase “sarà per la prossima volta” mi fà ridere mentre guido da solo come un idiota, a questo punto pure a me dovrebbero fare l’antidoping!
Il cartello indica che tra poche miglia c’è l’intersezione con il trail (sentiero) che avevo intenzione di fare come se fossi un provetto boyscout, qui l’atmosfera è contagiosa, camminano tutti! Vengo fermato da un volontario in mezzo alla strada con la sua bella divisa blu e la gioia negli occhi come se avesse appena stretto la mano al presidente americano, ed invece si occupa di fermare il traffico quando un “bighorn” vuole attraversare la strada. Ed io che non riesco nemmeno ad attraversare sulle strisce in Piazza Garibaldi, rimango fermo a motore spento perché ci sono un gruppo di mufloni (certo Bighorn suona molto più figo) che sta mangiando al bordo della strada e magari se l’erba dall’altro lato fosse più saporita potrebbero decidere di attraversare, e sia mai che un turista italiano cresciuto con uno stile di guida partenopeo decidesse di accelerare e spaventare quelle povere bestioline indifese di 500 kg! Così surreale che mi piace pure.
Parcheggio in mezzo a macchine iper attrezzate di tende sul tetto, di portabici, di barbecue sul gancio traino e prendo giusto macchina fotografica e bottiglietta d’acqua e seguo le indicazioni che mi aiutano a trovare il sentiero per entrare nel bosco prima e arrampicare un pò sulle rocce poi. I parchi americani sono a prova di casalinga sovrappeso californiana, cartelli ogni metro che indicano il pericolo di scivolare, di inciampare, di avere sete, di avere caldo, di avere freddo, di non avere voglia e ogni metro l’indicazione di quanto manca all’arrivo. Non sono molto incoraggianti. Ma la natura merita a tal punto che si cammina anche a buon ritmo, tra pini secolari, roccioni e fiumiciattoli, ancora uno strappo dell’ultimo sasso e quello che avevo letto su mille blog mi si materializza d’innanzi. Un laghetto incastonato tra un muro di roccia sedimentaria (così ho letto su uno dei blog) un bighorn eretto in cima alla roccia, colori preziosi e sfumature irreali creano una magia. La stanchezza nemmeno la sento, del resto sono un piccolo boy scout. Il venticello della montagna a 4000 metri e il silenzio profondo di questo luogo mi rilassano. Mi siedo sulla riva e rimango paralizzato da tanta pace. Giusto il tempo di respirare. Le giornate sono ancora piuttosto corte per fermarsi troppo, vedo arrivare un gruppo di temerari con tenda e zaino a seguito e già fantastico il loro falò sotto le stelle e i loro marshmallows mangiati colanti sul bastone, come ogni film che si rispetti, poi come ogni film che si rispetti dovrebbe pure esserci un omicidio e un mostro del lago, ma questi tre brillanti sessantenni texani che hanno mollato le mogli a casa per fare un viaggio da “uomini” sono troppo simpatici per fare una fine del genere, mi raccontano delle miglia fatte fin’ora e il sogno di questo viaggio fin dal collage, compagni di scuola ancora amici che vanno in pensione ma non dimenticano lo spirito che gli ha portati fino a li, meno in forma, meno capelli ma la voglia di vita che senti proprio in ogni loro parola.
Mi siedo e mentre loro sistemano il campo per la notte lasciamo che le nostre avventure di un viaggio o di una vita facciano da colonna sonora al tardo pomeriggio. Tirano fuori una six packs di birra, e mi offrono di fermarmi con loro la notte “tanto nella tenda di Steven c’è posto per un’intera squadra di football” e ridono tutti tranne Steven che ha dovuto caricarsela in spalla. Declino l’invito finendo di raccontargli un pò di me e un pò dell’Italia e prima che diventi troppo tardi torno sui miei passi.
Raggiungo la macchina che ormai è buio, questa volta il riscaldamento non lo voglio accendere, avrei voluto fermarmi con quei pazzi al laghetto, ed il freddo che entra dal finestrino abbassato mi aiuta a sentirmi più vicino a queste montagne.