C’è una frase che quando progetto qualunque viaggio negli Stati uniti mi rimane fissa nella mente, letta in uno dei libri fondamentali per viaggiare con la mente, “Strade blu”, quando il professore disoccupato e single incontra la sua volontà, parte per il suo viaggio ricorda e che i viaggi vanno sempre ideati in tondo, così si è sicuri di tornare a casa. E’ un pò quello che penso ogni volta, l’amore per i posti ti potrebbe portare a non voler tornare, le distanze a renderlo difficile, e per chi è un viaggiatore cheap anche a spendere un sacco di soldi inutilmente. Io così progetto sempre viaggi che iniziano e finiscono sempre dallo stesso punto, i voli costano meno, l’autonoleggio evita incredibili sovrattasse ma soprattutto sò che anche se rapito da posti magnifici tornerò sempre a sedermi sul volo di rientro.
Quando ho ripreso la macchina questa mattina parcheggiata sotto il sole appena sorto mi sono subito accorto che il confine messicano dista davvero pochissimo, il profumo di carne e peperoni di prima mattina che esce dal family restaurant poco lontano, i pickup anni 80 parcheggiati fuori e i sedili della mia macchina già roventi sono un chiaro segnale che percorrendo la highway 80, che incrocio subito dopo essere partito, si arriva in pochi minuti in Messico.
Il termometro segna già i suoi 85 Fahrenheit, sono troppo stordito ancora e non ho nemmeno bevuto un caffè, per potermi fare i calcoli e convertirlo in celsius, ma fà un caldo assurdo.
Sono nel sud dell’Arizona. Ieri sera girando alla ricerca di qualcosa da vedere a Phoenix mi sono imbattuto in una sorta di Gardaland del far west, un quartiere ricostruito come se ci trovassimo in un film western in bianco e nero, trenino d’epoca, case di legno, sheriffo e saloon, tutto come se ci fosse John Wayne pronto a sparare dall’alto di un balcone. Pinnacle Peak è un steakhouse che anima l’intera area e io ovviamente dopo aver visto la fiamma alta di un BBQ che cuoceva bistecche da premio mi sono accomodato davanti ad una Tbone steak al sangue e a un paio di boccali di birra. Anche in questo si capisce che ilMmessico è poco lontano, la carne speziata con sapienza era piccante come se mi trovassi alla sagra del peperoncino e le birre erano solo un modo per estinguere l’incendio che avevo sul palato. Le pareti del locale sono tutte completamente ricoperte di pezzi di cravatte e il loro motto recita “NO TIES WILL BE ALLOWED” non sono ammesse le cravatte, e a tutti coloro che si avventurano indossandone una è rito tagliarla, in effetti ne vedo alcune terrificanti in colori e disegno che forse è stato meglio tagliarle!
Guido ancora con lo stomaco sotto sopra dopo la notte di arsura e peperoncino che urlava dal mio stomaco su una strada di un colore così chiaro da perdersi nel ciglio poco segnato di terra e sabbia. La natura qui è poca cosa, rocce ovunque di un colore chiaro e spaccate dal caldo, sabbia e sassi che si fermano solo per qualche raro cespuglio abbrustolito dal sole. La strada 70 corre parallela al confine e raggiunge il New Messico in meno di quanto credessi, ma soprattutto senza incontrare anima viva. Fuori stagione per i turisti, anche se credo che qui non ce ne siano mai, fuori orario per gli immigrati clandestini che arrivano dal messico (come recitano i cartelli che vietano di caricare autostoppisti) e la domenica mattina non è nemmeno un giorno di lavoro quindi non incontro sulla strada nemmeno uno straccio di camioncino che trasporta i rifornimenti per qualche Taco Bell!
La mia destinazione è un parco che ho visto solo sul sito ufficiale del governo americano e che nemmeno avevo mai sentito nominare, anzi, eccovi una dritta www.nps.gov, è un sito curato direttamente dal dipartimento americano e segna ogni parco e ogni punto importante di ogni singolo stato, e ti fa sognare nuovi viaggi e ti fa capire quante cose hai perso nell’ultimo!
White sands national park è la meta, la strada sale lentamente e la vegetazione aumenta e si inverdisce, le curve cominciano a sussegguirsi e metto la freccia quando vedo un enorme cartello al lato della strada: un missile e i simboli dell’esercito. In questa enorme valle hanno fatto i primi esperimenti per la bomba atomica e ne hanno scoppiata una per vederne gli effetti che provocava, era il 1945 ed erano i test che avrebbero poi fatto seguire la fine della guerra mondiale con la bomba atomica esplosa in Giappone, leggo le didascalie e mi proietto in un epoca di pura follia, non sapevo che gli americani avessero fatto cadere una bomba atomica sul loro suolo solo per vedere l’effetto che faceva !
Rimango a guardare il panorama, incredulo. Risalgo in auto e poche miglia dopo vengo fermato da un posto di blocco in una struttura fissa che controlla tutti quelli che transitano,questa è un area militare tutt’oggi e l’accesso è controllato da militari armati e grossi, a cui io tremolante faccio giusto un gesto: da buon italiano ho sempre paura di aver fatto qualcosa che non và.
White sands è un monumento nazionale, ci si accede da una strada asfaltata un pò dissestata e da un negozietto di souvenir e di bibite, io dopo i postumi della cena bevo 1 litro di acqua ghiacciata e mi prendo nota di un paio di sentieri che vorrei fare. I parchi americani sono organizzatissimi da questo punto di vista, ci sono indicazioni ogni dove, sentieri accessibili anche per i disabili e parcheggi segnalati e guidati. E’ a prova di idiota. Ecco perchè mi sento tale quando mi perdo nel mezzo delle dune.
Parcheggio nel punto di partenza del “Rim” sentiero più lungo e seguo i paletti che lo segnalano. Salgo entrando tra queste incredibili dune bianche, cammino sotto un sole cuocente, (ovviamente io nel deserto cammino solo a mezzogiorno) e tra gole di una rara bellezza scavate dal vento sulla sabbia e colline che sembrano di cotone mi muovo sudato in calzoncini corti e crema solare sulle spalle finchè mi trovo senza + punti di riferimento e l’adrenalina che sale. Solo un italiano all’estero potrebbe muoversi senza acqua, senza mappa, senza nessun riferimento. Pensieri che mi attraversano la mente, ma che tristezza finire un viaggio bruciacchiato su una duna nel mezzo del nulla. Poi un miraggio. Un paletto. Una salita. Una curva e rivedo la macchina in fondo alla duna. Respiro e ricordo i dieci anni di scout che a qualcosa saranno pure serviti. Ringrazio l’angelo custode e raggiungo l’auto.
Coca light da gallone consumata ancora con il sudore freddo del perdersi, torno sulla strada e finestrini abbassati sento l’aria calda che mi accarezza la mano che gioca con il vento. Il cielo così celeste, la strada così dritta, i colori così tenui. Stasera dormirò in una rest area, domani sveglia presto e diretto ad Albuquerque, si torna sulla Route 66.
si Manuel T.