Che questa sia una nazione con qualche problema di “peso” te ne accorgi subito non appena il portellone del tuo volo intercontinentale si apre sul corridoio pavimentato con un improbabile moquette multicolore dell’aereoporto O’hare di Chicago e che ti porta al primo check di controllo dell’immigrazione. Il più piccolo dei membri dello staff dell’accoglienza ti si presenta davanti con una camicia scura allacciata con difficoltà e pantaloni oversize fermati da una cintura che chiede aiuto.
Non cambia molto quando i controlli di passaporto ed impronte digitali vengono effettuate da un poliziotto che non vorresti mai incontrare in tarda notte in un vicolo scuro di Chicago, magari dopo qualche bicchierino di troppo, enorme anche lui e con un tono di voce che mi farebbe ammettere qualunque reato.
I primi passi sul suolo americano, superati i controlli e ancora un pò frastornato dal fuso, ti fanno subito capire che il cibo non sarà di certo un problema, anche l’aeroporto è invaso da profumi di ogni tipo che provengono da foodcourt che spuntano ad ogni angolo, specialità di tutti i tipi, profumo di cannella misto a carne alla griglia, vaniglia nell’aria che si mischia al profumo di peperone che arriva da un wok cinese, ovunque spazia il tuo sguardo mandibole che ruminano qualunque cosa, bimbi che trangugiano bibite da litri e genitori con le mani appiccicate da fazzoletti di fastfood.
Ritiri la macchina e accendi la radio cercando una delle canzoni che per forza dovrà essere colonna sonora del tuo viaggio, scanali finchè non trovi un pezzo di Jonny Cash “walk the line”, che a casa non avresti mai ascoltato, ma che qui diventa pura poesia. Imbocchi la prima strada a caso, ora non è tempo di mappe ma di sentire la strada sotto di te, e ti si apre di fronte una via che sembra un puzzle di totem più o meno comprensibili che pubblicizzano ogni tipo di ristorazione. Credi sia solo un caso, le miglia proseguono e si alternano marchi famosi di fastfood a ristoranti famigliari a rivendite di alcolici e birra… ok non morirò di fame nè di sete di certo ma dopo un po’ cominci a sentire un sano istinto di mettere sotto i denti qualcosa.
Parola d’ordine “drive true”: guardi dentro al vetro del primo ristorante che ti si presenta davanti, nonostante l’ora di cena, seduti all’interno ci sono solo due clienti, che poi ti accorgi essere in divisa con il logo dello store, senza nemmeno capirlo rimani imbottigliato nella colonna di auto in fila per ordinare allo sportello esterno, corsia riservata, take order digitale, immenso menù colorato e una voce gracchiante che dopo 10 minuti di attesa emette un suono incomprensibile, ci provo, schiarisco la voce, penso agli 8 anni di inglese studiati a scuola ed emetto le prime parole a caso, avrei voluto un panino con il roastbeef e una bibita, mi accingo a pagare un caffè grande. Ci riproveremo più avanti.
La cosa che rende il mangiare americano un’esperienza diversa è che il mondo iperconsumistico di questi posti ha portato anche il cibo ad essere un gioco, e tutto è realizzato perché il cliente abbia sempre voglia di stuzzicare qualcosa, in auto ovviamente! Ecco allora mi spiego perché le auto che ho visto all’autonoleggio avevano macchie di ogni forma sui sedili, se mangi un panino da 3 etti con almeno 3 salse diverse e l’immancabile cetriolo è ovvio che prima ti sporchi la maglietta e poi direttamente il sedile in velluto del tuo suv! Cosa che anche io farò non appena riuscirò a trovare il modo di ordinare quel panino al roastbeef!
Ci sono catene di ristorazione di ogni tipo, ognuna cerca il suo spazio specializzandosi in qualcosa, chi fa solo roastbeef all’inglese come Arby’s, chi pollo alla diavola cotto sulla fiamma e servito con il riso come Pollo Tropical, chi legato al Messico con burrito e nachos di Taco bell, senza dimenticare hamburger restaurant famosi anche dalle nostre parti, o pizzerie di ogni genere. Io poi finisco a mangiare quel benedetto panino parcheggiando l’auto ed indicando con il mio dito al ragazzo sorridente che trovo al bancone interno, solo uno spuntino, tanto so bene che la mia colazione di domani sarà bel altra cosa.
Sveglio all’alba, tanto il fuso orario non concede più ore di sonno, la fame si sente già e il chiarore del mattino è sempre un momento magico per guardare il mondo dai finestrini. Direzione nord, direzione american breakfast. Ho letto prima di addormentarmi un consiglio di tripadvisor sulla migliore colazione di queste parti, quando oltre 200 persone hanno decretato un ristorante come “imperdibile” forse merita la visita. La strada prosegue tra curve leggere e perfetti prati all’inglese, per poi ritrovarsi di fronte ad una casa in mattoni con un ampio patio e molte auto parcheggiate fuori, eccolo, il Wildberry Pancakes.
Mi si avvicina subito la hostess del ristorante e mi conduce ad un tavolo proprio sul patio, attraversando una sala piena di famiglie e bimbetti con caminetto enorme e ad ogni angolo pentole di rame, quadri di foto in bianco e nero, atmosfera molto america, e quando mi allungano il menù capisco proprio che è stata una buona scelta. La colazione qui è davvero il pasto principale, vuoi non svegliarti la mattina alzando subito i livelli di colesterolo nel sangue? Bacon in ogni modo, uova strapazzate con l’immancabile tabasco, e hashbrown come tradizione vuole. Io non posso non ordinare i pancakes della casa, serviti con un impagabile sciroppo d’acero caldo ed un caffè fumante che la cameriera continua a riempirmi, ora so perché era votata la miglior colazione dell’illinois!
Decisamente sazio, lascio la mancia sul tavolo, pago con la mia carta di credito un conto anche fin troppo onesto e risalgo in auto, ora si che è il momento di aprire la mappa e di riprendere il viaggio.
Manuel T.